Zelda Fitzgerald: un talento nell’ombra, una voce da riscoprire

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Zelda Sayre Fitzgerald è stata una figura unica e complessa del panorama culturale del Novecento. Moglie di F. Scott Fitzgerald, uno degli scrittori americani più celebri della sua epoca, Zelda ha lottato per affermarsi come artista e scrittrice in un mondo che spesso relegava le donne a ruoli subordinati. Il suo unico romanzo pubblicato, Lasciami l’ultimo valzer, è quasi autobiografico e racconta molto di lei: della sua arte, delle sue ambizioni e delle difficoltà che ha incontrato nel tentativo di costruire un’identità indipendente, nonostante l’ingombrante presenza del marito e il controllo da lui esercitato. La sua vita è un continuo scontro tra la ricerca della libertà e le restrizioni che le venivano imposte, anche da chi affermava di amarla.

Una vita intensa e tumultuosa

Zelda nacque il 24 luglio 1900 a Montgomery, Alabama, in una famiglia benestante e conservatrice. Fin da giovane dimostrò uno spirito vivace, anticonformista e ribelle. Non era disposta ad adeguarsi ai rigidi ruoli sociali imposti alle donne del suo tempo e cercava sempre di distinguersi, sia nei comportamenti sia nelle aspirazioni. E, si sa, a queste donne c’è sempre qualcuno volenteroso di tarpare le ali. Nel caso di Zelda fu Francis Scott Fitzgerald che incontrò 1918, al tempo un giovane ufficiale dell’esercito.

La loro relazione fu inizialmente appassionata, ma divenne ben presto una trappola. Scott amava l’indipendenza e la vitalità di Zelda, ma solo entro i limiti che lui stesso decideva. Voleva che lei fosse libera, anticonvenzionale e senza costrizioni sociali, ma questa libertà doveva restare sotto il suo controllo. Spesso, invece di sostenere le ambizioni artistiche della moglie, cercava di limitarle, alimentando un rapporto di dipendenza e spingendo Zelda sempre di più verso il baratro della depressione.

L’influenza di Zelda sull’opera di Scott

Zelda non era solo la musa ispiratrice di Scott, ma anche una collaboratrice attiva, sebbene spesso non riconosciuta. Scott utilizzava i diari e le lettere della moglie come fonte d’ispirazione, inserendoli nelle sue opere. Questo portò a un forte risentimento da parte di quest’ultima, che lo accusava di averle rubato le parole e, con esse, una parte della sua identità creativa.

Si pensa fosse sua la famosa citazione del Grande Gatsby: “E spero che sarà stupida: è la miglior cosa che una donna possa essere in questo mondo, una bella piccola stupida.”

Lei desiderava essere una scrittrice a pieno titolo, ma si scontrava costantemente con la percezione sociale che il genio letterario della famiglia fosse esclusivamente Scott.

Le tensioni tra loro si estesero anche ad altri ambiti artistici. Zelda aspirava a diventare una ballerina professionista, dedicandosi con impegno alla danza, ma Scott la ostacolava, ritenendo che fosse una perdita di tempo e un capriccio.

“Lasciami l’ultimo valzer”: il romanzo della sua vita

Durante gli anni Trenta, la salute mentale di Zelda cominciò a deteriorarsi. Fu ricoverata diverse volte in cliniche psichiatriche, dove le vennero diagnosticati vari disturbi, tra cui la schizofrenia. Nonostante ciò, Zelda trovò la forza di scrivere il suo unico romanzo, Lasciami l’ultimo valzer (Save Me the Waltz), completato nel 1932 durante una degenza alla clinica Phipps di Baltimora che poté pubblicare solo dopo che il marito la constrinse a una revisione piuttosto forte.

Il romanzo è fortemente autobiografico e racconta la storia di Alabama Beggs, una giovane donna del Sud che sposa un artista, David Knight, e si trasferisce con lui in Europa. Alabama cerca di costruire la propria carriera come ballerina, ma si scontra con le difficoltà di vivere all’ombra di un marito famoso. La trama riflette molti aspetti della vita di Zelda, tra cui il suo matrimonio con Scott, la sua passione per la danza e le sue lotte per trovare una propria identità in un mondo che tendeva a sminuire le sue ambizioni.

Il conflitto con Scott e le modifiche al romanzo

Quando Scott scoprì che Zelda aveva scritto un romanzo, la sua reazione fu tutt’altro che positiva. In quel periodo, Scott stava lavorando al suo capolavoro Tenera è la notte, che avrebbe trattato molti dei temi presenti nel libro di Zelda. Preoccupato che il romanzo di Zelda rivelasse dettagli troppo intimi o interferisse con il suo lavoro, Scott la obbligò a rivedere e riscrivere diverse parti del manoscritto. Questo processo di revisione, imposto più per tutelare la sua opera che per migliorare quella di Zelda, fu per lei un’esperienza dolorosa e frustrante.

Quando Lasciami l’ultimo valzer fu pubblicato nel 1932, non ottenne il successo sperato. Le vendite furono scarse, e la critica dell’epoca non fu particolarmente generosa. Zelda, che aveva riversato nella scrittura tutte le sue speranze di riscatto, ne rimase profondamente delusa. Il romanzo, però, col tempo è stato rivalutato e oggi viene considerato un’opera importante, sia per il suo valore letterario sia per ciò che rappresenta nella lotta di Zelda per l’autonomia artistica.

Un’eredità rivalutata

Dopo la pubblicazione di Lasciami l’ultimo valzer, Zelda continuò a scrivere racconti e a dipingere, ma le sue opere rimasero in gran parte sconosciute fino a molto tempo dopo la sua morte, avvenuta tragicamente nel 1948 in un incendio in una clinica psichiatrica. Per decenni, il nome di Zelda fu ricordato principalmente in relazione a quello di Scott, ma negli ultimi anni la sua figura è stata riscoperta e rivalutata.

Oggi, Zelda Fitzgerald viene riconosciuta come una voce importante della letteratura americana, una donna che ha cercato di affermare la propria identità artistica in un contesto che la limitava. Lasciami l’ultimo valzer non è solo un romanzo autobiografico, ma anche un manifesto della sua lotta per essere vista come un’artista a pieno titolo, e non solo come la moglie di un grande scrittore.

La storia di Zelda Fitzgerald è una storia di talento, sofferenza e resilienza. Attraverso Lasciami l’ultimo valzer, Zelda ha dato voce alle sue esperienze, alle sue ambizioni e ai suoi tormenti, creando un’opera che merita di essere letta e apprezzata per ciò che è: un ritratto autentico e struggente di una donna che ha lottato per essere sé stessa in un mondo che spesso la relegava al ruolo di comparsa. Scott, pur essendo una figura centrale nella sua vita, fu anche l’ostacolo più grande alla sua libertà. Alla fine, la loro non è stata una storia d’amore, ma quella di carcerario e prigioniera. La riscoperta di Zelda è un invito a guardare oltre il mito della coppia e a riconoscere il valore di un’artista straordinaria, troppo a lungo rimasta nell’ombra.